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Gioele Magaldi e Rodion: scambio epistolare a proposito del Socialismo Liberale. Parte 2

 

 

 

 

Facendo seguito a quanto presentato in

Gioele Magaldi e Rodion: scambio epistolare a proposito del Socialismo Liberale (clicca per leggere),

pubblichiamo anche il seguito di tale scambio epistolare tra il nostro Gran Maestro Gioele Magaldi e il suo colto interlocutore amante di pseudonimi raffinati.

Scrive appunto “Rodion” il 25 maggio 2014:

 

“Grazie mille Gioele per la cortese risposta.

Spinelli è importante perché rappresenta una fondamentale proposta
internazionalista con obiettivi democratici. Chi dai documenti linkati
avversò il rapporto Beveridge furono Ernesto Rossi ed Einaudi.

La critica non è assolutamente alla persona e alla sua sensibilità
sociale: la critica (che in un contesto divulgativo tra chi "combatte
dalla stessa parte della barricata" è più propriamente una "segnalazione")
è volta ad analizzare le debolezze del pensiero politico in quanto
soccombente.

Come documento nell'allegato mi limito a evidenziare che Spinelli scrive
di suo pugno che l'idea federalistica nasce dai lavori di Robbins.

Ho inserito anche il documento in cui Draghi fa riferimento all'influenza
di Einaudi con il federalismo di Rossi e Spinelli: che Einaudi
frequentasse poi Ropke e Hayek lo scopro da Draghi stesso...

Inoltre qui è possibile trovare il pensiero di Einaudi:

http://www.digibess.it/fedora/repository/openbess:TO043-00494

Quindi il vero target della critica è il "federalismo": il cuore della
email precedente sarebbe dovuto essere: «l'impossibilità di veder
realizzati contemporaneamente federalismo, liberalismo e
socialdemocrazia».

Federalismo che è poi l'obiettivo della moneta unica volta alla
dispersione delle sovranità.

Qualsiasi progetto che porta alla mondializzazione dei valori universali
dovrebbe poggiarsi su solide basi "tecnico/scientifiche", proprio come
intuirono i reazionari alla stregua di Coudenhove-Kalergi con von Mises,
che però sembravano più interessati a trasformare le future macroregioni
in feudi.

E ciò che difetta a tutte le correnti progressiste che emergono, sembrano
proprio le solide basi (macro)economiche. E non pare un caso.

Credo che se interessa realizzare la democrazia sostanziale e si crede
nell'utopia keynesiana abbracciata da Roosevelt, si vuole un Art.3 comma 2
cost. per ogni popolo della Terra. USA compresi.

Non ho informazioni privilegiate, e per ciò che mi riguarda Spinelli
poteva essere assolutamente un keynesiano convinto, ma la letteratura
scientifica parla chiaro: o Keynes e Beveridge, o federalismo e
moneta-unica/gold-standard tra nazioni/mercati eterogenei. Infatti Hayek
postula la seconda soluzione proprio perché ha obiettivi (guarda caso)
opposti a Spinelli e a tutti i sinceri democratici che hanno seguito il
suo sogno.

Volendo qui semplificare ai minimi termini: "federalismo" = "liberismo"

Ma tempo al tempo...

Io non ho verità in mano e sono un anonimo lettore che dispone di un po'
di tempo da dedicare alla causa: quando qualcuno mi fornisce un pezzo del
puzzle, anche se sembra cambiare leggermente la "vision" dell'opera
ultimata, tendo ad affezionarmicisi e a sostenerlo...

Un caro saluto a te e ai tuoi collaboratori,

 

 

Risponde il 4 giugno 2014 il nostro Gran Maestro:

 

 

“Caro Rodion, scusami se do riscontro solo ora alla tua ultima mail, ma, in questi giorni, il tempo è per me un po’ tiranno.
Venendo alla sostanza di ciò che scrivi: è' vero che Luigi Einaudi ed Ernesto Rossi criticarono il Beveridge Plan, ma è altrettanto vero che lo fecero con motivazioni e accenti diversi.
Così come diverso era il loro tipo di liberalismo: classico, moderato e centrista quello di Einaudi, alquanto spostato a sinistra e attento alle questioni sociali quello di Rossi.
Del resto, tra una critica costruttiva e l'altra, fu proprio Ernesto Rossi a divulgare meticolosamente in ambiente peninsulare la traduzione italiana del Report of the Inter-Departmental Committee on Social Insurance and Allied Services. E la natura delle sue critiche era di tipo tecnico, relativa alle specifiche misure per combattere il disagio sociale denunciato da Beveridge, non certo avversa ideologicamente al principio dell'intervento statale mirato ed efficace, per integrare le nude logiche del mercato (attenzione, poi, a interpretare E. Rossi attraverso i resoconti che ne circolano sul web, specie la biografia intellettuale che ne viene offerta su Wikipedia, quanto mai sciatta, grossolana, inadeguata e per certi aspetti fuorviante). A tal riguardo, semmai, si leggano le raffinate pagine di "Critica del capitalismo", libro del 1948 in cui, tra le altre cose, si contestano svariate tesi del liberismo classico. Quello alla Einaudi, per intendersi.
In ogni caso, Ernesto Rossi non è esattamente un keynesiano, anche se tenta una personale sintesi fra tradizione liberale e tradizione socialista.
Piuttosto vicino all'impostazione keynesiana, invece, il pensiero economico di Altiero Spinelli.
E' innegabile che vi fossero scambi epistolari e un ricco confronto dialettico tra gli intellettuali anti-fascisti dell'epoca (anche il liberale classico Einaudi, d'altronde, era anti-fascista e partecipava a tali discussioni politico-economiche), ed è altrettanto vero che fu proprio Einaudi a promuovere il pensiero federalista nel dibattito italiano (clandestino) contemporaneo.
E allora?
Anche il massone liberal-progressista William Beveridge era federalista. Il federalismo non è affatto consustanziale al "liberismo classico" e neanche al neoliberismo che oggi impera nell'eurozona e nella UE.
Non c'è alcuna ragione, né logica né pragmatica, che renda necessario applicare in un contesto federale l'interpretazione che dell'economia di mercato offrirono  a suo tempo i vari von Mises, von Hayek, Einaudi, Ropke, etc.

La stessa interpretazione interiorizzata e praticata oggi da personaggi alla Mario Draghi,  tardo epigono delle fisime hayekiane/friedmaniane e traditore degli insegnamenti del suo vecchio maestro keynesiano Federico Caffé.

A proposito del quale Draghi, si può osservare come egli intorbidisca scientemente le acque, accostando gli autori del Manifesto di Ventotene al liberismo di Einaudi e/o all'Unione Europea quale la conosciamo oggi: cioè ad un'entità molto remota dal modello spinelliano degli Stati Uniti d'Europa.
Non esiste alcuna impossibilità, né teorica né storica, di veder contemporaneamente realizzati "federalismo, liberalismo e socialdemocrazia".

Sul piano storico, mi permetto di osservare che, sotto la presidenza di Franklin Delano Roosevelt (1933-1945), con sfumature varie di anno in anno, gli Stati Uniti d'America (Repubblica Federale) mantennero le proprie istituzioni liberali, inaugurando tuttavia interventi pubblici in ambito economico che sarebbero stati presi a modello da svariati filoni del pensiero e delle prassi socialdemocratiche europee nella seconda metà del Novecento.
Sul piano teorico e futuribile, proprio la prospettiva degli Stati Uniti d'Europa consentirebbe ad un forte governo federale continentale di implementare un New Deal rooseveltiano e keynesiano per la rigenerazione socio-economica del vecchio continente.
Al contrario, l'attuale Europa delle nazioni l'una contro le altre armate sul piano degli interessi economici e malamente amalgamate sotto la pedante e inefficace guida dell'eurotecnocrazia- un' Europa per di più egemonizzata da Germania e satelliti (con francesi in forte crisi di identità e orientamento) contrarissimi a una prospettiva federale (che ridarebbe la sovranità al Popolo europeo tutto, togliendola agli oligarchi privati e ai tecnocrati pubblici in combutta con alcuni esecutivi nazionali)- è evidentemente il migliore brodo di coltura per il pensiero unico neoliberista, anche quando travestito da ropkiana "economia sociale di mercato".
E lo stesso sarebbe con un ritorno alle piccole patrie nazionali, qualora a governarle fossero ancora e sempre gli epigoni di von Hayek, Einaudi, Friedman, etc.
In un contesto di globalizzazione, una singola nazione è ancora più facilmente "privatizzabile" nella sua governance, di quanto non lo sia una entità sovranazionale, a patto che in essa le strutture pubbliche facciano il loro dovere e non siano asservite ad interessi oligarchici privati, per di più appoggiati da "nazioni kapò/mosche cocchiere" come la Germania merkeliana.
Per ora mi fermo qui, in attesa di ulteriori stimoli- altrettanto fecondi di quelli sinora messi in campo- da parte tua.
Cari saluti.
Gioele”

 

 

Abbiamo voluto pubblicare il prosieguo di questo scambio epistolare inaugurato lo scorso 23 maggio 2014, nella convinzione che esso possa servire ad alimentare costruttivamente quello che sarà il dibattito politico-ideologico più interessante del nostro tempo, in combinazione con l’altro tema scottante dei rapporti tra comunità locali e globalizzazione, istanze nazionalistiche e prospettive sovra-nazionali.

I FRATELLI DI GRANDE ORIENTE DEMOCRATICO (www.grandeoriente-democratico.com)

[ Articolo del 2-5 giugno 2014 ]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Per comunicazioni, scrivete a: info@grandeoriente-democratico.com