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17 febbraio 2011: Omaggio a Giordano Bruno

 

 

 

411 anni fa, il 17 febbraio del 1600, Filippo Bruno, entrato nell’ordine domenicano con il nome di “Giordano”, veniva bruciato vivo in Campo de’ Fiori, a Roma, per ordine del Tribunale della Santa Inquisizione.
289 anni dopo, il 9 giugno 1889, veniva eretto un monumento al Nolano, nello stesso luogo, Campo de’ Fiori, in cui si era consumato il suo truculento omicidio.
In effetti, per tutti quei socialisti, repubblicani, liberali, anarchici, studenti, professori, artisti, artigiani, operai, intellettuali, liberi pensatori e soprattutto massoni che si riunirono a Roma per celebrare Bruno, si trattava di onorare un martire.
Ma anche circa tre secoli prima, lo stesso Frate Giordano e la Santa Inquisizione erano parsi consapevoli della portata epocale del “sacrificio” che stava per consumarsi.
Roberto Bellarmino, Consultore del Santo Uffizio dal 1597 e Cardinale dal 3 marzo 1599, brillante teologo ed abile politico, cercò in ogni modo di evitare la condanna a morte di Bruno per “eresia”.
Eh già, perché l’amorevole Chiesa di Cristo, oggi così sempre piena di retorici e strumentali richiami alla “sacralità della vita”, fino a poco tempo fa non esitava a “dare la morte” (dopo la tortura) ai dissenzienti, a coloro che pensavano, pregavano e onoravano Dio in termini difformi a quanto stabilito dall’Ortodossia curiale.
Per non parlare degli agnostici o degli atei, il cui concetto e la cui dignità non erano neanche lontanamente ammissibili fra le cose pensabili.
Gesù Cristo deve essersi “rivoltato nella tomba” più e più volte nell’osservare le guide del suo “Corpo Mistico” (la Chiesa Cattolica, appunto) o di altre Comunità sedicenti cristiane esercitare una repressione così feroce di eretici ed eterodossi, tanto più che Lui stesso, dinanzi all’ortodossia ebraica, era stato un “eretico”, messo sulla croce per la novità scandalosa del suo messaggio spirituale.
Ecco, Roberto Bellarmino ed altri illustri Prelati intuivano che Bruno, qualora fosse stato “martirizzato”, avrebbe potuto essere una sorta di “Nuovo Cristo” della Modernità; l’Angelo e l’Araldo di una nuova spiritualità, più libera, anti-conformista, aperta, duttile, tollerante e profonda di quella ormai sclerotizzata nella teologia dogmatica sedicente cristiana.
Ma la stessa intuizione ebbe l’ex-domenicano.
A Bruno veniva chiesto di abiurare le sue tesi rivoluzionarie sulla struttura del Cosmo (com’è noto, egli sosteneva il moto della terra, la centralità del sole nel nostro sistema solare, l’infinità dell’Universo), sulla natura della società e della Chiesa (che egli desiderava più libera, tollerante e rispettosa delle “diversità”), sulle caratteristiche della ricerca filosofica e scientifica (che egli auspicava autonoma e immune da ingerenze clericali), sulla dignità dell’uomo (che egli difendeva come irriducibile a qualunque costrizione fideistica e autoritaria), etc.
Ma se il Nolano avesse abiurato, salvando la sua pelle ed evitando una morte orribile e crudele come quella attraverso il fuoco, avrebbe tradito un principio irrinunciabile della sua stessa cifra umana, etica ed intellettuale.
Giordano Bruno non temeva la morte.
Non più di quanto avesse mai temuto la “vita”.
Una vita resa inquieta, errabonda, insicura, insidiata da mille nemici e infinite ostilità da parte di tutti i poteri costituiti dell’Epoca.
Poteri (ecclesiastici e laici, cattolici e protestanti) intimamente dispotici, autoritari, intolleranti, crudeli e insofferenti di qualsiasi pretesa libertà di coscienza, di pensiero, di espressione, di religione,
Poteri impregnati di quella stessa mentalità che fece pronunciare a Papi come Gregorio XVI e Pio IX, in pieno XIX secolo, l’esecrazione di ogni velleità democratica o moderna libertà spirituale e intellettuale.
Ebbene, il 17 febbraio 1600, come molti secoli prima un certo Maestro di Nazareth, Giordano Bruno accettò di bere l’amaro calice di una morte atroce, in nome dei suoi principi e ideali, in nome di una Nuova Spiritualità e del valore supremo della Libertà, da lui ritenuta il segno/sigillo più importante che accomuna il Creatore alle proprie Creature, “fatte a Sua immagine e somiglianza”.
La Chiesa e Bellarmino temevano questo martirio così nobile e potente; comprendevano la grandezza smisurata di quel piccolo uomo che otto anni di carcere inumano e sevizie psicologiche e fisiche non avevano saputo piegare; tentarono ogni espediente e compromesso pur di rendergli accettabile l’abiura delle sue idee.
Bruno lottò e accettò la dialettica intellettuale con Bellarmino e il Sant’Uffizio, sperando che lo stesso Papa Clemente VIII avrebbe infine compreso la necessità di profonde riforme per la Cattolicità.
Ma quando fu chiaro che la Curia voleva solo l’ennesima sottomissione ai suoi dogmi anacronistici e stantii, l’ex Frate Giordano fu irremovibile e accettò il sacrificio.
Purché le sue idee- rivendicate fino alla fine- potessero vivere, inseminare le coscienze, germogliare, fruttificare, in saecula saeculorum.
Del resto, pare storicamente plausibile la frase che un contemporaneo riportò in un documento scritto poco dopo l’esecuzione del Principe degli Eretici, con la quale Giordano Bruno si rivolse ai suoi carnefici: “Avete più paura Voi di pronunciare questa sentenza, che non io nell’ascoltarla…”.
Dal 1600 ad oggi non c’è stato filosofo o scienziato importante che abbia potuto ignorare l’imponente figura umana e intellettuale del Nolano.
Non c’è stato rivoluzionario o riformatore politico e sociale che abbia potuto prescindere dalla ricchezza spirituale inesauribile e dal valore esemplare della vita e delle opere di Bruno.
La Massoneria Universale, quali che siano le sua ritualità o i suoi landmarks di riferimento, celebra nel filosofo italiano il suo Profeta.
Così fanno tutti coloro che, quale che sia la propria convinzione politica, religiosa o spirituale, riconoscono nel valore della “libertà di coscienza, pensiero ed espressione” un principio irrinunciabile della propria e dell’altrui DIGNITA’ UMANA.

I FRATELLI DI GRANDE ORIENTE DEMOCRATICO.

 

 

 

 

 

 

 

 

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